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Metafile di: Lgs.10. A casa di Stefano |
data |
2008-09-02 |
autore |
Gianfranco Novo |
titolo |
Lgs.10. A casa di Stefano |
genere |
_Logos |
contatore |
533 |
| Lgs.10. A casa di Stefano |
Il giorno dopo Franco riceve una telefonata da Stefano Delmonte:
- Ciao, sono Stefano, Stefano Delmonte.
- Ah, ciao Stefano.
- Spero di non disturbarti, mi ha chiamato il commissario Carati, vuole venire a casa mia, mi ha detto che è stato da te... mi piacerebbe che tu fossi presente... se non ti dispiace.
- Sì, è stato qui ieri sera, ma non gli sono stato molto utile, gli avevo già detto quel poco che so nel suo ufficio.
- Io ne so ancora meno, perciò se tu fossi presente...
- Va bene, a che ora posso arrivare?
- Lui verrà alle 18, se tu fossi già qui per quell'ora... magari nell'attesa ti posso far vedere ciò su cui sto lavorando. Sto scrivendo un libro sulla storia della matematica.
- Oh, verrò volentieri, va bene alle 17?
- Sì, va benissimo, abito in via Altinate al numero 52... vicino alla chiesa di S. Sofia.
- Sì, non è lontano da casa mia... una passeggiata a piedi... allora arriverò alle 17.
- D'accordo, ciao.
-Ciao.
L'abitazione di Stefano Delmonte è un vecchio palazzo nobiliare; Franco ci arriva senza vederne la facciata, perché l'ingresso è sotto un portico. Sullo stipite destro c'è una targa in ottone: “Palazzo Delmonte”. Sotto ci sono due campanelli, su uno c'è scritto “Portineria”, l'altro è senza indicazione. “Evidentemente vale il nome del palazzo” pensa Franco.
Un po' intimidito da quei simboli di vecchia nobiltà guarda l'orologio: ha qualche minuto di anticipo, indugia un po', non sa quale campanello suonare, alza la testa, su in alto, al centro dell'arcata del portico, c'è il classico spioncino, una specie di imbuto quadrato, che permette di vedere l'ingresso dall'interno della casa.
Riguarda l'orologio, sono proprio le 17 in punto, “il solito pignolo”, penserebbe Ermanno, quindi si decide a suonare in portineria.
Dopo qualche secondo sente uno scatto: dal grande portone in legno si stacca una porta di “dimensioni umane”, la spinge ed entra.
Il grande androne che funge da ingresso è buio, ma dal lato opposto si può vedere un giardino romantico, con una specie di falso rudere antico.
Sul lato destro una porta lascia intravvedere una larga scala.
Intanto si accende la luce:
- Da questa parte. - la voce di Stefano proviene proprio dalla scala - Vieni, vieni su.
Dopo aver percorso una rampa di scala, vede l'amico sul pianerottolo che l'attende.
- Vieni, vieni che ti presento mia moglie, ma forse la conosci già, è stata all'università con noi.
Stefano lo guida attraverso un ampio salone, quindi un corridoio, poi un'altra stanza e infine arrivano ad una terrazza dove sta una donna sdraiata su un lettino da mare.
Sì, Franco si ricorda di lei, ricorda la sua espressione sempre stupita... una bella ragazza, ma un po' strana, ai tempi dell'università non aveva avuto il coraggio di avvicinarla.
- Ti ricordi di Arianna?
- Eh? - Immerso nei ricordi del passato, Franco aveva dimenticato l'amico che gli stava a fianco – Sì, sì, ma purtroppo non ho mai avuto occasione di parlarle.
- Beh, aveva qualche anno meno di noi.
- Già. - la giustificazione era plausibile, quindi non era il caso di correggerla.
- Arianna è la mia fortuna, più di qualsiasi altra fortuna che mi sia capitata.
Lei intanto si è alzata e con un timido sorriso ha porto la mano a Franco:
- Stefano esagera sempre. Anch'io mi ricordo di lei, ricordo che discutevate di... non so cosa.
- Già, allora si discuteva molto.
- Su, datevi del tu, in fondo siete stati compagni di università.
- Certo, certo. - Franco è contento di conoscerla meglio, ora che si è risvegliata la sua vecchia curiosità per quella strana ragazza.
- Però, Ana, ora dobbiamo lasciarti. - la dolcezza del tono di Stefano stupisce un poco Franco.
Già, ma a pensarci bene non lo aveva sentito parlare altro che di Fisica e Matematica.
Lasciandogli appena il tempo per un rapido saluto, Stefano lo guida verso il suo studio.
- Vieni, vieni di qua, ti faccio vedere un filmato.
Lo studio è piccolo se paragonato alle altre stanze, ed è stipato di libri, ma non mancano neppure i moderni apparecchi tecnologici.
Stefano accende il computer mentre spiega:
- Sono interessato alla storia della matematica e il graduale formarsi delle strutture mentali che hanno portato al pensiero d'oggi.
- Strutture mentali? Cosa intendi?
- Blocchi, blocchi di neuroni che si attivano in corrispondenza dei concetti, delle parole, dei numeri.
Intanto sullo schermo cominciano a scorrere le immagini di un filmato. Due uomini, apparentemente due pastori conversano fra loro mentre sullo sfondo si vedono delle pecore al pascolo.
bob: - Ciao pop, che belle pecore che hai!
pop: - Pecore?
bob: - sì, quelle...
pop: - Ah, intendi Bianca e Nera?
bob: - Sì, sì, quelle sono due pecore.
pop: - No, ti sbagli, non Due e Pecore, ma Bianca e Nera.
bob: - Volevo dire che sono... aspetta, vieni con me... Ecco vedi le mie tre pecore?
pop: - Tre e Pecore e... come si chiama l'altra?
bob: - Come l'altra? No, non hai capito, intendo dire che sono tre. Guarda: una, due e tre.
pop: - Non far confusione, prima Tre era quella, adesso è quell'altra, mi sa che il tuo cervello non funziona molto bene.
bob: - Tre può essere una qualsiasi, dipende dall'ordine in cui le conti.
pop: - Spiegati meglio, quando chiami “Tre” quale si gira a guardarti?
bob: - Oh senti, io rinuncio, vai pure a parlare con le tue Bianca e Nera.
pop: - Ci vado sì, Bianca è più intelligente di te, e anche Nera.
A questo punto Stefano ferma il filmato e spiega:
- Il dialogo che hai sentito si svolge in un passato molto remoto, in un mondo di pastori. Qualche istante prima (in scala evoluzionistica un “istante” può durare anche molti anni) un uomo di nome Roberto (bob), con una geniale astrazione, aveva capito che alcune cose avevano proprietà comuni e quindi potevano essere viste come un insieme (pecore con pecore, capre con capre). Ma gli insiemi non erano tutti uguali, alcuni erano piccoli (due pecore, tre pecore), altri erano grandi (tante pecore). Il resto del popolo (pop) vedeva gli oggetti o gli animali singolarmente (Bianca, Nera) senza riuscire ad associarli in alcun modo.
Il concetto di insieme e la capacità di contare sono talmente entrati nella nostra natura, che a noi, uomini del XXI secolo, sembra impossibile che si possa ragionare come pop.
Ma è possibile e forse probabile che la nostra cultura sia passata proprio attraverso uno stadio simile a quello che ho appena descritto nel dialogo.
Ma continuiamo col filmato.
La scena è simile a quella di prima, ma sembra passato un po' di tempo:
pop: - Ciao bob, come stanno le tre pecore?
bob: - Ciao pop, ehi hai imparato a contare?
pop: - Contare?
bob: - Sì, contare. Come hai fatto a sapere che sono tre.
pop: - Me l'hai detto tu, e mi hai detto anche che le mie sono due.
bob: - Ma se aggiungo una pecora alle tue quante diventano?
pop: - Uhm... non so.
bob: - È semplice, diventano tre.
pop: - No, le mie restano le mie e quindi restano due.
bob: - Guarda che il numero non ha niente a che fare con “mie” o “tue”.
Così dicendo bob raccoglie due sassolini e li mostra a pop.
Quanti sono questi?
pop: - Sono sassi.
bob: - Non ho detto cosa sono, ma quanti sono.
pop: - Vuoi dire che sono due come le mie pecore?
bob: - Bravo, (ora bob aggiunge un altro sassolino) e ora quanti sono?
pop: - Due sono come le mie pecore, l'altro non so.
bob: - Guardali insieme.
pop: - Ah, sono come le tue pecore... tre.
bob: - Bravo e quegli alberi?
pop: - Anche quelli sono tre come le tue pecore.
bob: - E i miei piedi?
pop: - Sono i tuoi piedi...
bob: - Sì, ma quanti sono insieme?
pop: - Ah, sono due come le mie pecore.
bob: - Bravo.
pop: - Sai bob, hai inventato un bel gioco, così il tempo passa prima, infatti è ora di tornare a casa, ciao.
bob: - Ciao.
La scena è finita e Stefano riprende a parlare.
- Nella mente di pop i concetti si formano gradualmente prima alcuni numeri (due, tre), ma non necessariamente nell'ordine, perché pop non ha ancora imparato il processo del contare.
- Vuoi dire che noi potremmo avere imparato prima il numero 5 che il 4 o il 3?
- Esattamente, i primi sette otto numeri sono stati visti sempre singolarmente e non come elementi di una sequenza, e questo per secoli, forse per millenni.
- Cosa ti ha fatto pensare ad una simile ipotesi?
- Il fatto che noi riconosciamo i numeri piccoli senza dover contare, soltanto quando arriviamo oltre il... l'otto, attiviamo un processo di conteggio. Naturalmente il numero critico è un po' diverso per ciascuno.
- E' vero, ho contato le matite del tuo portapenne facendo 4+5.
- Se fossero state 7 probabilmente non avresti dovuto fare alcuna operazione.
- Sì, è vero, strano che non l'avessi notato prima.
- I numeri piccoli sono dei fossili della nostra mente, fossili che ci sono ancora utili e quindi sopravvivono. Ma ci sono anche fossili del linguaggio.
- Per esempio?
- Tanto per stare nel mondo della matematica, il numero 1 inizialmente non doveva neppure essere considerato un numero.
- Dello zero sapevo, ma il numero uno non è come gli altri?
- No, perché non richiede l'operazione del mettere insieme. Le cose sono prima di tutto... sé stesse, cioè uniche. Il fossile di cui ti parlavo è il “singolare”, che esiste in quasi tutte le lingue.
- Quasi tutte?
- Sembra che il cinese non abbia il singolare.
- E si capiscono lo stesso? Scusa, è evidente che si capiscono.
- Beh, anche noi abbiamo tolto il singolare, e proprio in un caso in cui il numero gioca un ruolo essenziale.
- Cioè?
Parlo dell'euro, in italiano la parola euro non ha distinzione di numero e ci capiamo benissimo.
Intanto si sente suonare il campanello:
- Vado io, - dice Stefano ad alta voce, mentre esce dallo studio.
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